Defr: la relazione di Stefano Aggravi

Introduzione

Il Documento di Economia e Finanza Regionale (DEFR), al di là delle future prossime o meno prossime evoluzioni normative, rappresenta il principale atto di programmazione amministrativa e politica di un Governo regionale. Spesso sottovalutato ovvero ridotto a mero adempimento burocratico di una Amministrazione, questo rappresenta invece il “che cosa si intenda fare” nel prossimo triennio (e non soltanto) di programmazione alla luce dell’analisi del quadro economico e sociale anch’esso parte integrante di questo Documento.

Il Documento di Economia e Finanza Regionale per il triennio 2023-2025 arriva non soltanto nel mezzo di una stagione politica regionale sempre più influenzata non tanto dall’instabilità in sé, bensì dagli effetti dell’azione di una serie di singolarità – nel senso scientifico del termine – che ad oggi risultano ancora di fatto in piena attività. Un quadro che sommato alla globale incertezza sull’evolversi della congiuntura economica e sociale non permette  sicuramente di poter programmare nel dettaglio e con forte volontà politica quelle riforme piccole o grandi di cui la Valle d’Aosta ha bisogno, ma soprattutto rischia – come modestamente mi pare – di distrarre l’attenzione da talune scadenze che si stanno sempre di più tristemente avvicinando e su cui a vario grado mi soffermerò nel corso del mio intervento.

Contesto di riferimento

In tanti sul finire dello scorso anno – il 2021 – sorridevano agli allarmi che qualcuno lanciava rispetto al lento, ma poi inesorabile, aumento del tasso di inflazione. Una costante corsa guidata dall’aumento dei prezzi – ed in alcuni casi anche per via della scarsità ovvero dell’aumento di domanda di certe risorse rare – nell’ambito delle componenti relative al costo della logistica – i trasporti – e per l’appunto dell’energia. 

Un fenomeno che l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa nel febbraio scorso – perché quella guerra è iniziata ben prima, nel 2014, anche se in tanti se lo sono dimenticati – ha soltanto contribuito ad amplificare, con i suoi effetti diretti ed indiretti .

Ecco dunque che l’onda lunga della crisi finanziaria – poi economica e sociale – del periodo 2008-2011, nonché gli effetti della pandemia da Covid-19 – con le relative declinazioni – sommate alla crisi energetica ed all’inflazione – che ai più non incute la paura che al contrario dovrebbe – pongono Noi tutti di fronte ad uno scenario sempre più complesso e complicato dal quale sembra sempre più difficile uscire. 

A ciò è bene aggiungere le giuste considerazioni fatte nella parte “alta” del DEFR laddove si ricorda che il recupero in termini di prodotto regionale  è oggi sicuramente più che positivo per effetto del rimbalzo dovuto alla ripartenza delle attività dopo la c.d. stagione dei lockdown, ma occorre ricordarsi che questo avviene proprio per effetto di tale rimbalzo e non per una nuova capacità produttiva espressa dal nostro sistema economico. Prima della pandemia si stava con tutta difficoltà recuperando gli effetti della già citata onda lunga della crisi del 2008-2011, è pertanto giusto riconoscere le doti taumaturgiche dell’attività del Governo guidato da Mario Draghi, ma bene sarebbe farlo con concreto realismo, leggendo i numeri e le percentuali per quello che sono. In sintesi possiamo dire che con tutte le opinioni contrastanti di sorta abbiamo soltanto evitato un baratro più grande di quello  in cui potevamo cadere. 

I problemi ante pandemia restano, per l’area Euro, per l’Italia e anche per la Valle d’Aosta a cui va aggiunto l’amaro condimento fatto da inflazione, caro energia, caro materie prime, bonus economy, etc.. 

La prospettata crescita della domanda interna per consumi (+5,5%) che dovrebbe “tenere” per tutto il triennio 2023-2025 altro non è che una sorta di effetto di uscita dalla forte contrazione registrata nel 2020 proprio per effetto della pandemia (-11,8%). 

Una tendenza tutt’altro che positiva se si considera l’andamento dell’inflazione ovvero delle problematiche di approvvigionamento di molte materie prime e/o prodotti di consumo. Si pensi all’ambito dei cereali ovvero alla scarsità di semiconduttori e microchip vari che colpisce ogni sorta di settore.

A fronte di tutto questo e delle considerazioni che poi farò sul lato delle dinamiche di entrata delle nostre finanze pubbliche, c’è da tenere in forte considerazione – ed in particolare mi rivolgo agli amici che si definiscono keynesiani – quella che ormai da tempo risulta essere una criticità di non poco conto ovvero la drastica riduzione degli investimenti fissi lordi di provenienza pubblica. Nel DEFR per l’appunto viene confermato il trend pesantemente negativo che porta la diminuzione a circa il 60% nel periodo 2007-2019, numeri impietosi se rapportati ad altre realtà di confronto. 

Più rassicuranti sono i dati relativi alla popolazione delle aziende valdostane, con una quota stabile nel tempo di circa 11.000 imprese attive. Vi è però da monitorare l’andamento delle forme giuridiche dove si registra l’espansione del numero di società di capitali (+3,9%), nonché di ditte individuali (+1,1%). Senza dubbio, come da sempre, il numero delle nostre imprese resta indicativo sino ad un certo punto, piuttosto occorre considerare il fatto che queste sono per lo più di micro dimensione e con un livello di capitalizzazione spesso prossima al minimo legale. Due dati emblematici rispetto alla resilienza – e qui utilizzo volutamente tale termine – della popolazione delle aziende valdostana.

Altri soffermeranno sicuramente le proprie analisi sull’importante tema della crisi demografica che è, tra l’altro, già stata oggetto più volte di discussione in questo Consiglio, così come di proposte concrete nella trattazione dello scorso bilancio da parte delle forze di opposizione. 

Un ultimo dato su cui voglio concentrare la mia attenzione riguarda il tasso di disoccupazione. Questo a dati aggiornati risulta in crescita rispetto agli anni precedenti (+7,3%) ed in particolare maggiore rispetto a quello registrato nella fase precedente allo scoppio della pandemia. Un dato su cui occorre lavorare, un dato che deve preoccuparci non tanto se preso a sé stante, bensì rispetto all’espandersi di fenomeni di distorsione della vita sociale – passatemi il termine – come quella dei NEET ovvero dell’aumento  dell’abbandono prematuro dei percorsi di istruzione e formazione professionale (14,1% nel 2021). 

Che futuro di società ci attende?

Il quadro di finanza pubblica

Non può esserci programmazione efficace a prescindere dall’analisi dell’andamento delle fonti di finanziamento. Sembrerà banale, forse, ma è meglio ripeterlo. Nello specifico, questo Documento di Economia e Finanza considera per l’appunto l’andamento delle voci significative del quadro (macro) nazionale e regionale, con particolare riferimento al quadro delle entrate accertate nei rispettivi rendiconti annuali, dal 2017 al 2021. 

I dati analizzati confermano nel concreto come il totale delle entrate sia rimasto sostanzialmente costante nell’arco del periodo oggetto di analisi – 2017-2021 – con la sola eccezione del 2019 in cui il dato risultava essere più alto – per euro 1.425 milioni – per effetto di una entrata “una tantum” tra i tributi propri generata da circa euro 25 milioni di “tassa auto”. Pertanto al netto di questa situazione la media delle entrate nel quinquennio considerato è pari ad euro 1.375 milioni. Ecco il dato da cui oggi si procede per far partire il processo di programmazione della spesa pubblica valdostana. 

L’analisi fatta ci permette anche di saggiare il peso che la pandemia e i suoi effetti hanno generato sulla nostra comunità economica e sociale. Se si considerano, infatti, le entrate regionali riferite al 2020 rispetto al dato precedentemente riportato, si nota come non vi sia stato un effetto dovuto alla contrazione delle entrate regionali nel biennio della pandemia, in quanto il calo delle entrate tributarie è stato di fatto compensato dai trasferimenti statali destinati per l’appunto a contrastare gli effetti negativi sui bilanci delle regioni delle minori entrate derivanti dal blocco e dalle limitazioni dovute  al contrasto dell’evento pandemico. 

Tali effetti si notano in particolare nel calo di due tipologie di imposte erariali compartecipate con lo Stato ovvero l’IVA (i consumi in generale) e le accise sui carburanti (vedasi trasporti). E’ bene tra l’altro ricordare come queste siano quantificate, ai sensi delle norme di attuazione dello Statuto speciale, sulla base del gettito dell’anno precedente. Infatti è nel 2021 che il calo delle entrate al Titolo 1 ha portato sull’esercizio un effetto negativo pari quasi a euro 49 milioni rispetto all’esercizio precedente (l’effetto rispetto alla media del triennio 2017-2019 è stato di circa euro 56 milioni).

A fronte di questi andamenti occorre dire che con riferimento alla materia “fiscale” l’evento pandemico ha ulteriormente portato lo Stato centrale ad intervenire a più riprese con proprie norme anche sui tributi regionali ed in particolare sull’IRAP e l’addizionale IRPEF. Questo fatto rende  oggi senza dubbio più complicato per le regioni la definizione di eventuali manovre fiscali proprie su queste due tipologie di imposte. A tale modus operandi fanno in gran parte seguito dedicati trasferimenti sostitutivi che tuttavia non permettono di mantenere, almeno sul medio periodo, quel clima di serenità amministrativa che consentirebbe di facilitare lo sviluppo di politiche di ristrutturazione della spesa pubblica regionale di cui la nostra realtà ha sempre più bisogno. Ma sul punto tornerò.

Vi sono poi però due aspetti non di poco conto che occorre ben considerare proprio in ottica di programmazione della spesa. 

L’IRPEF – circa euro 367 milioni annui di gettito nel periodo considerato – è oggi compartecipata nella misura dei 10/10 ed è quantificata sulla base dei versamenti effettuati nel territorio regionale ed ai versamenti effettuati con riferimento ai soggetti passivi residenti nella nostra Regione. Tale imposta è stata oggetto di una riforma – personalmente lo ripeto anche qui che si poteva e forse si doveva anche fare di più, ma si sa come funziona in Italia – che avrebbe dovuto favorire gli scaglioni di reddito più bassi, prevedendo di fatto un gettito minore con un conseguente ristoro a favore delle Autonomie Speciali per il periodo 2022-2024 (stiamo parlando di circa euro 14,5 milioni su base annua). Tuttavia, e qui casca il naso dell’asino, questo effetto negativo non si è registrato nei primi 8 mesi di riferimento del 2022 in relazione ai versamenti effettuati dai soggetti passivi residenti, mostrando invece una costanza di gettito derivante dalle pensioni, ciò conferma come tale gettito cresca costantemente per effetto dell’aumento del numero di soggetti che percepiscono una pensione. Un dato positivo per il signor Erario, in quanto è senza dubbio più agevole tassare un reddito certo di uno incerto, ma che tanto ci dice, parimenti agli studi ed ai dati demografici, sulla nostra società.

Con riferimento all’IVA per l’anno 2022 – seppur il dato non sia definitivo in quanto calcolato sul gettito dello Stato del 2021 – questa risulta molto più alta, con un incremento “a due cifre”, non tanto per una improvvisa smania di consumi da parte dei valdostani, bensì per effetto dell’anomalo aumento dei costi energetici e delle materie prime. Per gli amici questa si chiama Inflazione. 

Relativamente all’analisi dell’andamento delle entrate regionali, sempre in ottica di creazione dei presupposti e degli elementi utili alla costruzione della programmazione di questo DEFR e del bilancio, occorre poi considerare due ultimi fattori di non poca importanza. 

Il 2023 sarà l’ultimo anno nel quale la Regione percepirà l’ultima tranche di trasferimento, pari ad euro 45 milioni, sulle somme riconosciute dallo Stato per la mancata devoluzione della compartecipazione sui versamenti delle accise di birra ed energia elettrica per il periodo 2011-2014, ai sensi del comma 518 dell’articolo 1 della L. 232/2016.

Il 2025 sarà invece l’ultimo esercizio di riferimento che beneficerà degli effetti dell’accordo di finanza pubblica raggiunto con lo Stato il 16 novembre 2018 (recepito dalla legge 145/2018, art. 1, comma 879) che ha previsto un trasferimento a favore della Regione di risorse destinate ad investimenti pari ad euro 120 milioni, di cui 10 milioni annui per il periodo 2019-2020 e 20 milioni annui per il periodo 2021-2025 (importante è anche considerare il contenuto del comma 877 della già richiamata legge 145/2018 che fissa il contributo alla finanza pubblica in euro 102,807 milioni annui a decorrere dal 2020).

Tutti elementi che, sommati alle risorse iscritte a bilancio di provenienza europea e dalle progettualità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di cui beneficia la nostra Regione (entrate in c/capitale di Titolo 4), devono portarci ad una seria riflessione sul futuro della nostra finanza pubblica regionale. 

Sono, infatti, molti gli elementi di entrata certi solo per un determinato periodo di tempo, tra l’altro in alcuni casi legati ad un passato “riparto fiscale” che non c’è più, combinati ad altrettanti fattori di debolezza dell’attuale ciclo delle entrate fiscali che derivano “fattualmente” da una società sempre più anziana (vedi quanto già detto riguardo alle entrate certe provenienti dalle pensioni) e meno dedita alla nascita di nuove realtà produttive che ne possano controbilanciare significativamente il “peso” in termini di gettito erariale (i.e. fonte primaria di entrata fiscale). 

 Pertanto dirsi oggi soddisfatti dell’andamento delle nostre finanze pubbliche (e parlo principalmente di entrate), così come dire in sede di bilancio di previsione – ma su questo punto torneremo nelle prossime settimane – che l’andamento è positivo per effetto anche e soprattutto delle entrate di provenienza centrale e/o europea (vedasi PNRR), significa essere miopi rispetto al futuro che ci attende. 

Se gli elementi di incertezza finanziaria sul lato entrate possono dirsi chiari, sul lato spese c’è tanto da fare, soprattutto su ambiti di non poco “peso” per il bilancio regionale. Ma andiamo per gradi. 

L’Amministrazione regionale

Nel documento in esame ritroviamo la seguente espressione “Il triennio 2023-2025 vede entrare nel dettaglio la riforma dell’Amministrazione prevista dal Governo”. Non è certo la prima volta che troviamo un passaggio di questo tipo nei documenti di programmazione regionale, ne abbiamo più volte parlato. C’è anche chi, nel recente passato, ha levato critiche e proposte “forti” sulla necessità di riformare la nostra macchina pubblica. 

Un macchina amministrativa che ha un costo, oggi come domani, un numero di dipendenti che, al netto delle statistiche di réclame che ci vedono primeggiare in rapporto ai cittadini residenti, resta comunque alto e soprattutto sembra non essere mai soddisfacente ai bisogni dell’Amministrazione, un insieme di fattori che se guardati dal lato della finanza pubblica preoccupano e non poco. Eh sì, perché se da un lato organizziamo procedure concorsuali per potenziare il personale tecnico e specializzato sempre più necessario all’Amministrazione, conduciamo processi di analisi della struttura organizzativa nel suo complesso, dall’altro teniamo conto del livello di produttività di questa grande macchina? Consideriamo il costo attuale e quello di prospettiva che di fatto è di natura corrente e non di investimento? Lo rapportiamo al “peso” del sistema delle società partecipate e degli enti strumentali (tra cui considero anche l’Azienda USL)?

Insomma al di là dei proclami e delle possibili modifiche in termini regolamentari, nonché di pianta organica abbiamo idea di quanto ci costerà tutto questo rispetto alle fonti di finanziamento?

A ciò collego la questione riguardante la tanto agognata riforma della normativa in materia di Enti Locali, così come alle varie problematiche che riguardano questi in materia di reclutamento del personale, dei segretari comunali e mantenimento dei servizi minimi ai cittadini. 

Sino ad oggi abbiamo visto, rimandi, norme tampone, mai la volontà di definire una riforma concertata con le parti interessate, che risolvesse la situazione di crisi e rischio (perché per la spesa pubblica vi è un rischio in potenza non di poco conto). Sempre e solo un bel calcio al pallone. 

E avanti! 

In egual modo troviamo quale prima scheda obiettivo di questo DEFR quella inerente la “Revisione del sistema della finanza locale”. Ecco, anche e proprio in questo caso, si ha idea di dove si vuole andare? In che termini si pensa di poter riformare il sistema della finanza locale a fronte della debolezza che sta esprimendo questa compagine di maggioranza, debolezza che non ha permesso e non permette di poter valutare e condurre concrete – e anche coraggiose – scelte in termini di semplificazione, efficienza e direi anche risparmio della finanza locale da poter destinare ad altri scopi, meno burocratici? 

Farò una battuta che non mi attirerà certo simpatie, ma semplifica il concetto: qualcuno è stato (e forse sarà ancora) ostaggio di una seconda camera?

Non me ne vogliano i Comuni, così come i loro rappresentanti, non me ne voglia la Regione, così come tutti noi, ma non possiamo vivere di sola occupazione e burocrazia pubblica. 

Come possiamo riformare questo sistema se non cerchiamo prima di capire come poter costare meno sia ai cittadini, sia a noi stessi proprio per liberare utili risorse pubbliche da poter utilizzare per altri scopi di bilancio?

Ha senso dire che si intende modificare la tanto famosa legge 48/95 senza considerare al contempo che il mondo è cambiato e che forse prima che le logiche di riparto e trasferimento senza vincoli è necessario capire dove e come vogliamo mantenere servizi e presidi del territorio, definendo un chiaro confine tra cosa fa il Comune e cosa fa la Regione (o sua emanazione di varia natura)? 

Senza trovare una risposta a questa domanda si finirà per partorire l’ennesima riforma o modifica rattoppata e a metà (questo nella migliore delle ipotesi). 

Alleanza per il lavoro di qualità nella Regione Autonoma Valle d’Aosta

C’è un altro aspetto su cui mi voglio soffermare prima di concludere il mio intervento. Da tempo le varie componenti del Consiglio politiche del lavoro stanno trattando la forma, ed in parte anche la sostanza, del documento denominato “Alleanza per il lavoro di qualità” con proposte e suggerimenti di varia natura. Sino ad oggi ho cercato di comprendere quale potesse essere il fine ultimo di questa sorta di impegno per il futuro, ma soprattutto quali prospettive potesse dare al mercato del lavoro ed in generale al nostro sistema produttivo e dei servizi. 

Ecco, al di là di tante parole e di certi contenuti proposti che ritengo – rispettabilissimi per la carità – ma anche fuori luogo per le finalità di questo documento, credo che non si possa prescindere dal suo naturale collegamento al nuovo Piano Politiche del Lavoro ed ad un orizzonte temporale ben definito e tutt’altro che di medio e lungo periodo. 

Siamo noi oggi in grado di fare previsioni che vadano oltre l’anno, il triennio – al massimo – di riferimento? Credo di no, e proprio per questo penso che al di là degli impegni che si prenderanno occorrerà per l’appunto prevedere adeguate risorse a supporto di misure concrete volte a sostenere l’occupazione – in qualsiasi forma, purché di qualità -, nonché definire nuovi meccanismo di collaborazione e incontro tra gli operatori dei vari settori economici e sociali con un processo che ne consenta una periodica messa a punto ed aggiornamento alla bisogna. Non possiamo più permetterci di prendere decisioni o definire documenti ingessati e statici nel tempo con il solo obiettivo di difendere posizioni di merito o mero principio. 

In conclusione

L’insieme di queste considerazioni, come ho già più volte detto, ha un unico filo conduttore ovvero un cammino che in sintesi durerà sino al 2025. 

Rinnovo qui ogni preoccupazione e perplessità che ho già espresso nel corso del mio intervento e mi pongo infine una semplice ed ovvia domanda (che ormai si ripete da inizio legislatura): questa compagine di maggioranza ha la forza per fare tutto ciò o meglio ha la forza per individuare e sostenere alcuni punti programmatici cardine che devono necessariamente essere affrontati da qui al 2025?

Questa compagine di maggioranza come potrà interloquire con lo Stato centrale per definire un rinnovato modello di ordinamento finanziario al termine di una serie di compartecipazioni che verranno meno e di un accordo finanziario che scadrà nel 2025?

Questa compagine di maggioranza, le sue singole componenti, hanno la forza e la coesione per dare corso alla riforma tanto attesa dell’Amministrazione pubblica e degli Enti locali?

Insomma, quale è oggi la forza di chi ci presenta questo Documento di programmazione Economica e Finanziaria che al suo interno ha non poche debolezze e ombre sul futuro della nostra amata Valle d’Aosta?

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