Commissione speciale sulla zona franca: un’occasione persa!

“[…] C’est pourquoi, moi, Thomas, comte de Maurienne et marquis d’Italie, voyant et reconnaissant les calamités survenues, ainsi que les vexations et les affronts commis, je rends à la liberté la cité d’Aoste avec ses faubourgs; […] de sorte que jamais dorénavant ni moi ni mes successeurs nous n’exigerons par nous-memes ni par nos officiers les tailles ou les contributions qui ne seraient pas consenties. […]”

Peu avant l’an 1200, le comte de Maurienne et marquis en Italie Thomas Ier promulgue une charte des franchises en faveur des habitants de la ville d’Aoste (et des ces faubourgs). En échange de la fidélité qui lui est promise, il s’engage à n’imposer aucun tribut sans le consentement des citoyens. 

Voilà la véritable source historique de notre Liberté. Un parcours d’Autonomie signé par les temps, constitué d’un ensemble de franchises, serments, lettres patentes, édits, délibérations et même aussi de pétitions populaires. 

Un long chemin qui arrive au dernier siècle, au cours du quel les valdôtains doivent vivre aussi deux guerres mondiales et la pauvreté d’une terre frontalière, une terre de montagne. 

On le sait bien, c’est au cours des dernières années de la deuxième guerre qu’un ensemble de représentants des populations alpines à Chivasso signent une déclaration qu’en matière économique demande:

“[…] un sistema di equa riduzione dei tributi, variabile da zona a zona, a seconda della ricchezza del terreno e della prevalenza di agricoltura, foresta e pastorizia […]”. 

Voilà en quelques mots l’une des racines à la base de l’octroi de la zone franche dont à l’article 14 de notre Statut Spécial

Le territoire de la Vallée d’Aoste est placé en dehors de la frontière douanière et constitue une zone franche. Les modalités de réalisation de la zone franche seront établies en accord avec la Région et fixées par une loi de l’État.

On le sait bien, dès le 1948 de ce projet rien à été réalisé. Toute une série de compensations, indemnisations on été concertées avec l’Etat central.

Ma che cosa si intende, almeno dal punto di vista definitorio, per zona franca

Un regime speciale che consente di introdurre, depositare e, a volte, manipolare, trasformare e consumare le merci estere nella zona franca in esenzione da tributi e formalità doganali”.

Sono oggi tre i casi di zona franca in senso stretto ed effettivamente funzionanti in Italia: Livigno, Campione d’Italia e i comuni del ramo occidentale del lago di Lugano. 

Va poi considerato il fatto che ci sono territori che come il nostro non hanno visto attuati questi presupposti, come le aree dell’Isonzo e il Vipacco al confine con la Slovenia, così come i “punti franchi” presenti nella carta statutaria sarda.

Spesso da più parti si chiama a gran voce alla “zona franca”, quasi fosse la soluzione ad ogni problema, ad ogni contingente necessità. Ma oggi, che ne è delle reali possibilità di applicazione dei presupposti di “zona franca” a fronte del complesso quadro normativo comunitario, nonché della caduta di quelle “barriere doganali” che erano, di fatto, alla base dell’identificazione di aree extradoganali?

Nel Documento di Economia e Finanza Regionale (DEFR) del 2018 – quello presentato dal nostro Governo regionale – lanciammo l’idea della costituzione sul territorio valdostano di zone franche urbane attraverso la prosecuzione dell’attività di interlocuzione con lo Stato centrale già avviata per mezzo della definizione di una specifica norma di attuazione ovvero un accordo dedicato con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali e di ricerca e sviluppo. 

Idea che poi il successivo Governo regionale, nato dal ribaltone del dicembre 2018, cassò nella versione finale del proprio DEFR. 

Oggi, da qualche anno, si sta parlando della costituzione di una zona franca della ricerca, idea interessante, il cui percorso può benissimo convivere con i propositi del nostro ordine del giorno. Nel corso dei lavori del Consiglio regionale del 15 dicembre abbiamo infatti proposto all’Aula, attraverso l’ordine del giorno n. 19, la costituzione di una Commissione speciale per l’analisi dell’applicazione delle previsioni dell’art. 14 dello Statuto Speciale di Autonomia nell’ambito dell’attuale quadro normativo comunitario di riferimento

Una proposta che non ha trovato l’appoggio della maggioranza di Governo, né dell’Aula tutta. Una occasione persa, perché il Consiglio regionale avrebbe davvero potuto dare un segnale importante non soltanto a chi crede necessario avviare un percorso che possa portare la Valle d’Aosta ad una fase di Seconda Autonomia, bensì anche a tutti quei territori di montagna che in Europa oggi cercano di potenziare le proprie leve di governo per poter favorire lo sviluppo di comunità sempre più disagiate rispetto ai territori di pianura o di costa. 

Resta però aperta una possibilità nelle mani della I Commissione consiliare alla quale il Presidente della Regione ha passato di fatto la palla. 

Nei prossimi giorni capiremo se questa possibilità potrà concretizzarsi realmente oppure il tutto resterà sospeso per mancanza di volontà (e lungimiranza) di quanti a parole si definiscono autonomisti senza volerlo però essere poi realmente.

Stefano Aggravi

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