Perron, giorno del ricordo: la storia si fa con lo studio

«Dopo l’8 settembre 1943 venne meno l’autorità dello Stato Italiano in Istria. La prima ondata di persecuzioni durò circa un mese, proprio all’indomani di tale data, e venne colpito non solo chi avesse avuto a che fare con lo stato fascista, ma anche chi fosse di etnia italiana, oppure fosse uno sloveno o un croato non comunista. Per esempio militante cattolico, o liberale. A questa fase ne seguì un’altra, dal maggio 1945 in poi, che aveva lo scopo di generare terrore per far uscire da quei territori gli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia, popolazioni che erano lì da secoli. Vi furono processi sommari, prelevamenti, uccisioni e infoibamenti, triste termine ormai entrato nel linguaggio comune. Per chi non lo sapesse, le foibe sono quelle depressioni carsiche a forma di conca, sul fondo delle quali scorre acqua e nelle quali vennero gettati i cadaveri o, peggio, persone ancora vive, vittime della pulizia etnica e ideologica dei comunisti e partigiani di Tito. Con la firma del trattato di pace di Parigi, il 10 febbraio 1947, l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana, rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia. A ciò seguì un grande esodo, in cui un numero stimato tra le 250 mila e le 350 mila persone furono costrette a fuggire dalla loro terra a causa della repressione politica, etnica, religiosa, e alla nazionalizzazione del territorio, che vide la sottrazione della proprietà privata di molte famiglie italiane. Il tema di questa tragedia è ormai istituzionalizzato, patrimonio della Nazione, a partire dal 2004, quando fu istituito il giorno del ricordo. Ma questa memoria è stata avversata, per decenni, da una parte ideologica e questo tema fa fatica, ancora oggi e per gli stessi motivi, ad entrare nelle scuole e nella coscienza collettiva. Essa dimostra chiaramente i crimini del totalitarismo comunista. Crimini, dicevo, taciuti in Italia per connivenze ideologiche e per

convenienza politica: perché c’era il tabù della cortina di ferro a dividere i due mondi, perché questi fatti incrinavano i rapporti politici con la vicina Jugoslavia e perché in Italia avevamo un partito comunista tra i più forti dell’intero mondo “atlantico”, il quale aveva rapporti diretti con Mosca e aveva avvallato, con Togliatti, la presenza del nono corpus jugloslavo nel Friuli.

Le motivazioni sono tante, giuste soltanto per chi ancora rivendica un passato comunista  da difendere (incurante dei quasi 100 milioni di morti stimati nel mondo con i regimi di quel tipo). Motivazioni invece sbagliate per tutti gli altri. Ma la storia non si fa con retorici e spesso ipocriti giudizi morali. Si fa con lo studio, i dati, la comprensione profonda degli avvenimenti.

E con il ricordo. Sono passati oltre 70 anni da quei tragici giorni, e finalmente possiamo e dobbiamo sentirci liberi di ricordare quegli avvenimenti».

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