Il discorso del Capogruppo Andrea Manfrin in memoria del Papa emerito Benedetto XVI.
Come descrivere in poche parole un gigante come Benedetto XVI? Credo che quelle migliori siano state pronunciate il 18 dicembre da Bergoglio, ai margini di una sua visita. In quell’occasione disse “Lo visito spesso e vengo edificato dal suo sguardo trasparente. Vive in contemplazione. Ha un buon senso dell’umorismo, è lucido, molto vivo, parla piano ma segue la conversazione. Ammiro la sua lucidità. È un grande uomo. È un santo. È un uomo di alta vita spirituale.”
Un grande uomo, un santo, uno straordinario teologo ed una delle migliori menti del nostro tempo, per il quale è sempre stato importante mostrare la ragionevolezza della fede e l’aiuto reciproco tra ragione e fede, spiegando che la ragione aiuta la fede a non cadere nel fondamentalismo e la fede aiuta la ragione a non cadere nel totalitarismo.
Nonostante la sua grandezza, Benedetto XVI ha dovuto affrontare parecchie dimostrazioni di ostilità, come, ad esempio, il divieto di partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico alla Sapienza, in quel gennaio 2008, dove, se glielo avessero consentito, egli avrebbe spiegato che «Esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita.
Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma».
L’agire di Benedetto XVI – politico, sì, ma nel senso alto e ormai perduto di chi governa perché ha un progetto di civiltà – scopriva e intaccava gli equilibri di un ordine mondiale di cui pazientemente aveva ricostruito la genesi nelle riflessioni di una vita: dalla crisi della teologia morale negli anni Sessanta al contemporaneo trionfo di un violento libertarismo individualistico venuto d’oltreoceano, fino al più pericoloso anarchismo etico, sostenuto dai disvalori della finanza internazionale e del suo bieco utilitarismo. La «dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» di cui il cardinale Ratzinger parla nella celeberrima Omelia del 18 aprile 2005, poco prima di salire sul soglio, è la stessa di cui percorreranno la genealogia i suoi appunti sulla Chiesa, dati alle stampe dopo le dimissioni: «La società occidentale – vi scriverà – è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire. E per questo è una società nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano».
Benedetto XVI è stato, in ogni manifestazione della sua personalità, anacronistico. Com’è tipico dei profeti: distonici col loro tempo tanto da poterne essere la coscienza critica. Proiettati in un futuro che nessuno vede perché ancorati a una tradizione che nessuno vuole. Rigoroso interprete di una fede che non va di moda, coraggioso politico in un mondo in cui la politica non esiste più, pensatore raffinato dentro una società che ha perso il gusto per il pensiero. Troppo vecchio, o (il che in questo caso può essere lo stesso) troppo nuovo. Di certo, questo non essere contemporanei, mai, al proprio secolo, è virtù cristiana quant’altre mai (del resto non è il cristianesimo trionfo di valori che sono disvalori per il secolo?), perché senza di essa non si può essere ciò che un servo di Dio deve essere. Pietra d’inciampo. Pietra scartata che poi diviene pietra angolare.
Tante sono state le briciole che negli scontri coi potenti cadevano sulle ginocchia dei tanti spettatori inconsapevoli, sotto forma di propaganda orchestrata, come sempre, per dividere conservatori e progressisti, umani e non umani, fautori dei diritti e nemici dei diritti, bigotti e gente alla moda. Solite storie, di cui non vale troppo la pena occuparsi. Anche perché poi arriva la Storia. Le molte colpe che a Ratzinger non sono state perdonate, sarà la Storia a voltarle in meriti, ma ci vorrà del tempo prima che anche il suo operato arrivi al proprio tempo. Ora, mentre trionfa il catechismo in pillole del “vogliamoci bene”, l’unica cosa che si può fare è aspettare. E, come sempre, vegliare.