Giorno del ricordo: approvata la nostra mozione

Il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità la nostra mozione per intitolare a Salvatore Radizza un luogo idoneo a ricordarne la figura e l’importanza storica, quale simbolo del Ricordo sia del massacro etnico delle Foibe che dell’esodo di Istria, Fiume, Dalmazia

«Questa mozione – ha esordito il Capogruppo Andrea Manfrin nella presentazione – ci permette di celebrare una giornata importante, il giorno del Ricordo, istituita con legge dello Stato, la 92 del 2004, per restituire dignità ad una tragedia tutta italiana, quella delle foibe e dell’esodo di centinaia di migliaia di persone dai loro luoghi natii, con una deportazione forzata che ha distrutto famiglie, storie, tradizioni, culture ed ha privato 350.000 persone di qualsiasi cosa. Una tragedia nella tragedia, se pensiamo alla terribile fine riservata a un numero che ancora oggi non è certo. Gli storici non concordano: c’è chi dice 5.000 e c’è chi dice 20.000, ma tendenzialmente si concorda sulla cifra di 10.000.

Queste 10.000 persone vennero massacrate in un modo orribile, spesso prelevate da casa con la forza, molte con violenza, alcune stuprate, altre torturate in maniera indicibile per fare confessare segreti militari assurdi, e poi giustiziate e gettate, a volte da sole, a volte a gruppi, nelle profonde e frastagliate doline carsiche. A volte le modalità di esecuzione prevedevano che venissero legati con il fil di ferro a gruppi di venti, poi ne veniva giustiziato uno che con il suo peso trascinava gli altri a fondo, ancora vivi. Per ovviare che queste persone restassero ancora vive a volte, dopo giorni di agonia,  venivano gettate nelle buche delle bombe a mano. Tutte queste persone avevano le professioni più disparate: militari, poliziotti, insegnanti, funzionari pubblici, commercianti, e le idee più differenti, dai fascisti ai liberali, fino ad arrivare ad alcuni partigiani comunisti. Avevano tutti però una caratteristica in comune: rappresentavano l’italianità di quelle terre ed un ostacolo per chi, su quei territori, aveva messo gli occhi.

Qui nasce la storia di Salvatore Radizza, commerciante, anche lui inerme di fronte all’odio barbaro e selvaggio di chi lo percepiva come un ostacolo. Come ci ha raccontato sua nipote, dopo aver sentito la sua storia da suo padre, era stato prelevato per degli accertamenti dalla polizia titina, per poi non essere più rilasciato ed infine infoibato, con immensa crudeltà, il 2 ottobre 1943.

Questa iniziativa arriva dopo due anni di ricerche ed approfondimenti, iniziati dopo l’evento organizzato dal Consiglio regionale cui prese parte David Giandrini. In quell’occasione raccogliemmo la testimonianza di, Antonio Radizza, che ha vissuto sulla propria pelle l’esilio, che ha perso suo padre in nome di una conquista territoriale voluto da un regime dittatoriale, ma che ha saputo rialzarsi ed arrivare, al termine di una lunga carriera militare, a comandare lo storico Battaglione Aosta con il grado di Tenente Colonnello, stabilendosi nella nostra Regione fin dal ’66. Questa iniziativa arriva anche con il consenso dei due nipoti, Elena, oggetto della consegna di un riconoscimento conferito dal Presidente della Repubblica nel 2006, e Salvatore Paolo, anch’egli legatissimo alla Valle d’Aosta, che ha seguito le orme militari del padre e che è arrivato a comandare il Centro Addestramento Alpino con il grado di Generale di Brigata.

Riteniamo quindi, alla luce di questa tragedia che siamo chiamati a ricordare, che sia assolutamente necessario lasciare una importante memoria di questi luttuosi fatti, affinché il Ricordo di quei tragici eventi rimanga vivo, venga raccontato e spiegato, per fare in modo che tali azioni non debbano ripetersi mai più. Per questo motivo, con questa mozione, chiediamo che si assumano le iniziative necessarie all’intitolazione a Salvatore Radizza di un luogo idoneo a ricordarne la figura e l’importanza storica, quale simbolo del Ricordo sia del massacro etnico delle Foibe che dell’esodo di Istria, Fiume, Dalmazia».

Nel corso del dibattito è intervenuto anche il Consigliere Simone Perron. «Dopo l’8 settembre 1943 venne meno l’autorità dello Stato Italiano in Istria. La prima ondata di persecuzioni durò circa un mese, proprio all’indomani di tale data, e venne colpito non solo chi avesse avuto a che fare con lo stato fascista, ma anche chi fosse di etnia italiana, oppure fosse uno sloveno o un croato non comunista. Per esempio militante cattolico, o liberale. A questa fase ne seguì un’altra, dal maggio 1945 in poi, che aveva lo scopo di generare terrore per far uscire da quei territori gli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia, popolazioni che erano lì da secoli. Vi furono processi sommari, prelevamenti, uccisioni e infoibamenti, triste termine ormai entrato nel linguaggio comune. Per chi non lo sapesse, le foibe sono quelle depressioni carsiche a forma di conca, sul fondo delle quali scorre acqua e nelle quali vennero gettati i cadaveri o, peggio, persone ancora vive, vittime della pulizia etnica e ideologica dei comunisti e partigiani di Tito. Con la firma del trattato di pace di Parigi, il 10 febbraio 1947, l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana, rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia. A ciò seguì un grande esodo, in cui un numero stimato tra le 250 mila e le 350 mila persone furono costrette a fuggire dalla loro terra a causa della repressione politica, etnica, religiosa, e alla nazionalizzazione del territorio, che vide la sottrazione della proprietà privata di molte famiglie italiane. Il tema di questa tragedia è ormai istituzionalizzato, patrimonio della Nazione, a partire dal 2004, quando fu istituito il giorno del ricordo. Ma questa memoria è stata avversata, per decenni, da una parte ideologica e questo tema fa fatica, ancora oggi e per gli stessi motivi, ad entrare nelle scuole e nella coscienza collettiva. Essa dimostra chiaramente i crimini del totalitarismo comunista. Crimini, dicevo, taciuti in Italia per connivenze ideologiche e per convenienza politica: perché c’era il tabù della cortina di ferro a dividere i due mondi, perché questi fatti incrinavano i rapporti politici con la vicina Jugoslavia e perché in Italia avevamo un partito comunista tra i più forti dell’intero mondo “atlantico”, il quale aveva rapporti diretti con Mosca e aveva avvallato, con Togliatti, la presenza del nono corpus jugloslavo nel Friuli.

Le motivazioni sono tante, giuste soltanto per chi ancora rivendica un passato comunista  da difendere (incurante dei quasi 100 milioni di morti stimati nel mondo con i regimi di quel tipo). Motivazioni invece sbagliate per tutti gli altri. Ma la storia non si fa con retorici e spesso ipocriti giudizi morali. Si fa con lo studio, i dati, la comprensione profonda degli avvenimenti.

E con il ricordo. Sono passati oltre 70 anni da quei tragici giorni, e finalmente possiamo e dobbiamo sentirci liberi di ricordare quegli avvenimenti».

«Voglio condividere con voi – ha invece voluto sottolineare il Consigliere Luca Distort -, una riflessione sulla storia e sui simboli: è così che, in vista del Giorno del Ricordo, che ricorre oggi, ribadisco il concetto già espresso in occasione della Giornata della Memoria. La commemorazione di un fatto storico non deve essere un atto autocelebrativo, soprattutto se il fatto storico è una tragedia che ha dei responsabili. Una commemorazione serve per il presente e per il futuro altrimenti è ritualismo, è “un bronzo che risuona, un cembalo che tintinna”, per dirla con Paolo, dalla lettera ai Corinzi. La commemorazione deve generare vigilanza, perché la storia si ripete, con tutte le sue varianti, ma si ripete e quindi, questa vigilanza deve essere ben informata, attenta e intelligente. Tutto questo si fonda sul rispetto della storia in tutta la sua verità: lo dobbiamo alla storia stessa e lo dobbiamo soprattutto a tutti quelli che sono stati gettati nelle foibe dopo essere stati trucidati e tanto più per quelli che orrendamente vi sono stati gettati ancora in vita. Noi, come istituzione, abbiamo il dovere di consegnare alle nuove generazioni il vigile e attento ricordo di quanto l’uomo può diventare diabolico, soprattutto quando un’ideologia diabolica ne giustifica gli atti e soprattutto quando una macchinazione condotta per decenni e decenni da parte degli interpreti e degli eredi di quella stessa ideologia hanno cercato e cercano tutt’ora di minimizzarne l’orrore. Oggi voglio rivolgere a tutti noi una raccomandazione, a noi come autorità, per avere il coraggio di dire che quel massacro ebbe dei sicari ben precisi, che furono i comunisti di Tito, con la responsabilità di altri comunisti italiani: questa è la verità storica. E la storia va trattata da storia con coraggio, con rispetto e con rigore.  È noto che il comunismo di Tito fu un comunismo nazionalista, ma fu il comunismo di Tito a generare questa tragedia che nulla ha a che fare con i sussulti nazionalistici, per spiegare e nello stesso tempo per deviare la reale tragedia delle foibe.

L’invito che rivolgiamo oggi al Consiglio regionale, con l’impegnativa di questa mozione, è di affermare questo nostro ruolo istituzionale, questa vocazione civica a tenere viva la memoria, per generare rispetto, coscienza e vigilanza e non rimuovere assolutamente la verità storica dell’infame “tattica delle foibe”.

In questo obiettivo oggi proponiamo un atto simbolico, così come simbolo è l’allestimento a lutto delle bandiere presenti in quest’aula ed il simbolo, proposto da questa mozione, è l’intitolazione di uno spazio pubblico a Salvatore Radizza, fucilato il 2 ottobre 1943 a Curzola, insieme ad altri civili e militari italiani, come evidenziato dal riconoscimento del Ministero dell’interno. 

Salvatore Radizza, padre di Antonio Radizza, diventato poi comandante di Compagnia presso il Battaglione Aosta, con il grado di Capitano e successivamente comandante del Battaglione stesso, con il grado di Tenente Colonnello e, a sua volta, padre del Generale di Brigata Paolo Salvatore Radizza che ha comandato il Centro Addestramento Alpino sino all’avvicendamento con l’attuale comandante Generale Matteo Spreafico, avvenuto nel settembre 2019.

La dedicazione è un atto simbolico, nel senso etimologico del termine: σύν + βάλλω  cioè “mettere insieme e mettere, quindi, insieme oggetto e concetto.

E una comunità, con un atto di dedicazione, si riappropria di un meccanismo ben espresso dalla tradizione della nostra civiltà cristiana, dove la celebrazione non ha un ruolo ritualistico, ma liturgico, cioè evocativo, ascetico, che genera coscienza e forza: non a caso si usa la parola liturgia, che deriva dal greco ” λαός “, popolo ed  “ἔργον”, opera, azione ma anche forza: cioè forza di un popolo.

Questo è il tenore delle azioni simboliche e noi oggi, con questa semplice mozione, diamo corso all’opportunità di attuarne una.

E ricordiamoci che una società che ignora la sua storia non ha passato ma soprattutto non ha futuro».

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